Educazione Ambientale
4.4.2022

Gli effetti del cambiamento climatico sul Mediterraneo

Nel Mediterraneo le temperature stanno aumentando il 20% più velocemente rispetto alla media globale. Forse per qualcuno sarà come scoprire l’acqua calda, ma per altri potrebbe essere una vera e propria doccia fredda.
Ciò sta già avendo gravi e concrete conseguenze in tutto il bacino, destinate ad aumentare nei decenni a venire, con un innalzamento del livello del mare che potrebbe superare il metro entro il 2100, con impatti su un terzo della popolazione dell’area.
Insomma, siamo sull’orlo dell’abisso.

A causa del cambiamento climatico siamo in un mare di…

Il cambiamento climatico sta amplificando gli effetti di tutte le altre minacce sugli ecosistemi marini. Studi recenti hanno dimostrato che oltre il 90% del riscaldamento che ha interessato la Terra tra il 1971 e il 2010 ha riguardato l’oceano, e il Mediterraneo detiene il record per il mare che si è scaldato più velocemente, diventando peraltro sempre più salato. Per non parlare dello sfruttamento del suo bacino: inquinamento, sviluppo costiero, eutrofizzazione, traffico marittimo e decenni di pesca mal gestita hanno sottoposto a enormi pressioni migliaia di specie marine, in costante diminuzione. (https://grazie.it/blog/gli-animali-estinti-negli-ultimi-10-anni/ ).
A questo scenario aggiungiamo 10006 specie animali aliene tipiche dei mari tropicali, in grado di alterare un equilibrio ecologico già precario, invasioni di meduse sempre più frequenti e la comparsa di nuovi patogeni.
Non navighiamo in acque tranquille.
La brutta notizia è che non esiste un modo veloce per sconfiggere il cambiamento climatico; anche con un’azione globale immediata di riduzione delle emissioni di gas serra, le temperature, probabilmente, continuerebbero ad aumentare per decenni. Quello che possiamo e dobbiamo fare è ridurre la pressione antropica e incrementare la resilienza: ecosistemi in salute e una biodiversità ricca sono la nostra miglior difesa in un mondo sempre più caldo. La scienza è chiara, dobbiamo proteggere e ripristinare le risorse naturali del nostro mare.
Le sei storie seguenti, possono essere utili per capire meglio cosa stia succedendo.

Mediterraneo? No, tropicale!

Il processo di tropicalizzazione è in fase avanzata nella parte più calda del bacino, il Mediterraneo orientale: qui è sempre più facile trovare specie invasive tropicali (arrivate principalmente attraverso il Canale di Suez).
Un recente studio, effettuato nelle acque poco profonde della piattaforma continentale Israeliana – una delle aree più calde del bacino – ha messo a confronto le segnalazioni attuali e storiche di molluschi nativi ed è emerso come solo il 5-12% delle specie storicamente presenti ci siano ancora.
In termini ecologici, la tropicalizzazione del Mediterraneo è un disastro. Mentre specie erbivore tropicali si stanno spostando in acque prima più fredde, aree coralline precedentemente dominate da foreste algali complesse e ricche di biodiversità (“canopy”) sono state trasformate.
La colpa è anche dei pesci coniglio che brucano indiscriminatamente la vegetazione, ormai incapace di rigenerarsi prima che venga sostituita da alghe tropicali invasive. Queste tipologie di alghe continuano ad essere consumate dai pesci, generando i cosiddetti “turf algali” o perfino “deserti” marini.
L’impatto della perdita di foreste algali sull’ecosistema marino è enorme: una recente ricerca ha rilevato che la biomassa organica è 44 volte più bassa nei “turf” rispetto alle foreste algali, segnale di una perdita catastrofica di biodiversità.
Anche il ciclo del carbonio può essere sconvolto da questi cambiamenti: le barriere impoverite si trasformano da depositi a sorgenti di carbonio. I turf oggi coprono più del 50% delle barriere coralline superficiali del Mediterraneo sudorientale e meno dell’1% è coperto da foreste algali native.

Questi pesci si stanno mangiando le nostre risorse più importanti

Il Mediterraneo detiene un primato insospettabile: è il mare con specie aliene del mondo.
Saranno educati e mansueti i nuovi arrivati? Non proprio.
Originari del Mar Rosso e dell’Oceano Indiano, gli invasori – grazie alla temperatura maggiore dell’acqua – stanno prosperando come forse nessuno si sarebbe mai aspettato.
In Turchia, per esempio il 98% dell’intera biomassa dei pesci erbivori è composta da pesci coniglio alieni (Siganus rivulatus e S. luridus) e perfino il restante 2% è costituito da pesci pappagallo il cui areale si è espanso verso le acque settentrionali ora più calde.
Il passatempo preferito di questi pesci dal nome insolito? Ingozzarsi di foreste algali e devastare gli habitat di specie native.
E poi c’è la minaccia del pesce scorpione, dotato di potenti spine velenose e ghiotto di… pesci e crostacei nativi di importanza ecologica ed economica. (il suo stomaco può espandersi fino a 30 volte il suo volume originale per fare spazio a queste prede).
E la brutta notizia è che, in quanto nuova specie di un ecosistema, le sue prede non sanno come difendersi.

Nel Mediterraneo sono esplose le meduse

Letteralmente.
Dal 2003, in un Mediterraneo sempre più caldo, le meduse si stanno riproducendo (bloom) a una velocità record, alterando radicalmente gli ecosistemi regionali, con serie ripercussioni a catena sulla pesca e sul turismo. Quando le meduse riempiono le reti da pesca nel Mediterraneo, gli attrezzi vengono danneggiati, la loro efficacia ridotta e gli equipaggi devono investire tempo per sistemarle invece che catturare il pesce che fornisce loro sostentamento.
Le meduse possono essere velenose. Questo è un problema crescente anche nelle mete turistiche del Mediterraneo: una spiaggia piena di meduse urticanti perde velocemente il proprio fascino e, se il numero dei visitatori crolla, le comunità locali subiscono un immediato danno economico.
Come se non bastasse, i bloom di meduse minacciano anche altri settori economici: possono invadere le gabbie di acquacoltura e ferire i pesci allevati; possono diventare un grave problema anche per le centrali elettriche, bloccando le prese d’acqua fondamentali per il raffreddamento dell’impianto e quindi riducono l’efficienza della produzione di energia.
Ma cosa sta causando questo aumento di meduse? Naturalmente le temperature roventi dell’acqua, capaci di garantire anche la riproduzione invernale di alcune specie.
L’eutrofizzazione dovuta all’uso eccessivo di fertilizzanti in agricoltura causa bloom di alghe marine che possono creare “zone morte” con basse concentrazioni di ossigeno, in cui i pesci non possono sopravvivere, ma a cui le meduse possono facilmente adattarsi e prosperare anche per l’assenza dei predatori naturali.
In più, le meduse si cibano di uova e larve di pesce, danneggiando ulteriormente il reclutamento di queste specie e diminuendo il numero di individui che raggiungono l’età adulta.

Le foreste marine sono in pericolo

La Posidonia oceanica, una pianta marina endemica del Mediterraneo, è una delle specie più importanti dell’intero ecosistema marino. Il suo compito è quello di ossigenare l’acqua, garantendo un habitat vitale per circa il 20% delle specie marine che si trovano nel Mediterraneo, ridurre l’energia di onde e correnti durante tempeste, proteggere le spiagge dall’erosione costiere e mitigare gli impatti fisici del cambiamento climatico, in quanto capace di fissare il carbonio in un fitto tappeto di foglie secche, rizomi e radici (la matte) fino a 4 m di profondità nel fondale. Si stima che le praterie di Posidonia abbiano immagazzinato l’11-42% delle emissioni totali di CO2 dei Paesi mediterranei dai tempi della Rivoluzione Industriale: mentre il mondo si sforza per ridurre i livelli di gas serra nell’atmosfera, mantenere questo deposito intatto è essenziale. Il suo ruolo ecologico fa della Posidonia un indicatore biologico della salute del mare – e nel Mediterraneo sovrasfruttato e sovrasviluppato di oggi – questa pianta tuttofare è in serio declino.

I principali nemici della Posidonia:

  • Ancoraggi indiscriminati
    Questi distruggono le foglie e sradicano intere piante.
  • Sviluppo costiero
    Tutti i tipi di sviluppo costiero causano gravi danni non solo alle piante, ma anche alla matte dove viene depositato il carbonio.
  • Inquinamento
    La Posidonia preferisce acque pulite.
  • Cambiamento climatico
    Si prevede che lo stress termico ne alteri la distribuzione: la sua assenza nella parte sud-est del bacino è probabilmente dovuta proprio alla temperatura e gli scienziati hanno trovato che nelle aree occidentali la sua salute è stata compromessa a seguito dell’eccezionale aumento della temperatura.
  • Pesci erbivori invasivi
    Mancavano solo loro…
  • Aumento del livello del mare
    La Posidonia ha bisogno di luce per la fotosintesi e muore se la luce non la riesce a raggiungere. Piccoli cambiamenti del livello del mare possono fare una differenza sostanziale nella quantità di luce che raggiunge i fondali in leggera pendenza. Con livelli del mare che, in alcune aree del Mediterraneo, aumentano di 6 mm l’anno, la perdita complessiva di Posidonia nel bacino è in continuo aumento.

Addio per sempre, coralli

Il riscaldamento climatico sta uccidendo le gorgonie – anche chiamate “ventagli di mare”. Tra i coralli morbidi più belli e importanti del Mediterranee, questa specie che cresce lentamente forma foreste sottomarine che forniscono habitat fondamentali a supporto dei ricchi ecosistemi marini, offrendo riparo e aree nursery e resistendo alle alghe invasive. Le gorgonie sono organismi coloniali e non sono importanti solo nel mare – contribuiscono anche alle economie del Mediterraneo in quanto principale attrazione per i subacquei che apprezzano il paesaggio marino complesso e colorato che creano.

La specie più importante, la gorgonia rossa (Paramuricea clavata), è tipica degli habitat coralligeni che si trovano a profondità superiori a 25 m, dove l’acqua solitamente non raggiunge le alte temperature della superficie. Gli organismi che popolano questi habitat sono pertanto più suscettibili all’aumento delle temperature, cosa che li rende particolarmente vulnerabili alle ondate di calore sempre più frequenti nel bacino Mediterraneo.

Che fine hanno fatto le nacchere?

La Pinna nobilis è il più grande bivalve endemico del Mediterraneo, e uno dei più grandi al mondo. Svolge un fondamentale ruolo ecologico, contribuendo alla limpidezza dell’acqua filtrando grandi quantità di detrito, e fornisce un habitat a molte specie.
Questa “seta di mare” era raccolta per usi artigianali e la specie era anche oggetto di pesca ricreativa e commerciale negli anni ‘80 quando le popolazioni subirono un rapido calo prima che la Pinna nobilis ricevesse protezione attraverso la Convenzione di Barcellona.
La specie si stava riprendendo bene fino all’autunno del 2016, quando un devastante evento di mortalità di massa (mass mortality event, MME) ha colpito le popolazioni di Pinna nobilis nel Mediterraneo spagnolo, causando una mortalità del 100% in alcune aree. Questi eventi si sono ripresentati anche nei tre anni successivi (Catalogna, Italia, Sicilia e Corsica).
Gli MME si sono rivelati il risultato di un patogeno, Haplosporidium pinnae, il cui sviluppo è stato, molto probabilmente, favorito dal riscaldamento climatico. Alcuni scienziati, inoltre, ritengono che le acque più calde potrebbero influenzare processi come la riproduzione e il reclutamento, e diminuire il numero di giovani che sopravvive. La Pinna nobilis necessita inoltre di alti livelli di ossigeno e il tasso di crescita della sua conchiglia è più alto di qualsiasi altro bivalve; questa specie potrebbe quindi essere vulnerabile all’acidificazione del mare. Il numero crescente di specie invasive – ancora una volta a causa del cambiamento climatico – rappresenta un’ulteriore sfida per le popolazioni rimanenti di Pinna nobilis.

FONTI:

www.wwf.it/uploads/wwf_med_cc6case_studies_2021_ita_1.pdf


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