Ricordi l’atmosfera degli anni 80? Beh, non era un granché…
Nel corso del decennio, supportati da autorevoli studi scientifici, i governi iniziarono a prendere coscienza dei rischi a cui il pianeta stava andando incontro: le fabbriche erano sempre più inquinanti, l’uso frequente dei veicoli accelerava il riscaldamento globale e le piogge acide dicevano che il nostro mondo, così come lo conoscevamo, era ormai agli sgoccioli.
Per fortuna internet non era ancora quello che conosciamo oggi.
Bisognava intervenire rapidamente per preservare l’atmosfera terrestre, da una parte incapace di liberarsi dei raggi infrarossi in uscita (a causa dell’accumulo di CO2) e dall’altra non più in grado di proteggersi dai raggi ultravioletti in entrata (ti dice qualcosa il buco dell’ozono?).Si arrivò così alla Convenzione di Vienna (1985) e al Protocollo di Montréal (1987).
Ma era solo l’inizio.
11 Marzo, 1989.
Francia, Norvegia e Olanda propongono all’AJA e ai rappresentanti di 21 paesi di creare un’agenzia internazionale con l’obiettivo di preservare l’atmosfera terrestre.
Tutti d’accordo? Macché!
Pochi giorni prima, in occasione del vertice di Londra, i paesi del terzo mondo dissero chiaramente di non essere disposti a pagare il prezzo di una ristrutturazione industriale resa necessaria dall’inquinamento prodotto dalle nazioni più ricche.Per far fronte a questa problematica, la bozza presentata all’Aja prevedeva che le misure destinate a promuovere l’effettiva applicazione delle decisioni della nuova Autorità sotto il controllo della Corte di giustizia contenessero un giusto indennizzo per le nazioni penalizzate economicamente dalle scelte di protezione ambientale.
L’Italia, che nel mentre si apprestava a vietare la vendita di spray contenenti clorofluorocarburi (ritenuti dannosi per l’atmosfera all’interno del protocollo di Montréal firmato il 16 settembre 1987), comprese subito che grandi cambiamenti avrebbero interessato i mercati globali e che, forse, per il vecchio modello industriale non c’era più spazio.
In quel periodo vennero pubblicizzati i primi frigoriferi “che non bucano il cielo” e il settore della distribuzione alimentare iniziò a ricercare un prodotto che consentisse il confezionamento dei pomodori senza esporsi alle accuse degli ambientalisti. Perfino il ministero della difesa ricevette un invito ufficiale a diminuire il numero delle esercitazioni con dispiego di schiumogeni a base di freon.
Ma torniamo all’AJA. Ai tavoli, per sancire l’inizio di una vera e propria “green revolution”, furono invitati solo alcuni tra paesi industrializzati e paesi in via di sviluppo.
All’appuntamento olandese non si presentarono elementi di spicco come gli Stati Uniti, l’ex Unione Sovietica e la Cina.
Nazioni come Australia, Brasile, India, Indonesia, Giappone, Venezuela e Italia inviarono in sostituzione del capo del governo uno dei ministri interessati.
Il nostro ministro, per esempio, diede la disponibilità a una politica di maggior impegno per la salvaguardia dell’atmosfera ma si rifiutò, almeno inizialmente, di sottoscrivere una dichiarazione per istituire una nuova agenzia internazionale.
Qui sotto trovi i punti salienti della conferenza dell’11 marzo 1989, alla quale presero parte Germania, Australia, Brasile, Canada, Costa d’Avorio, Egitto, Spagna, Francia, Ungheria, India, Indonesia, Italia, Giappone, Giordania, Kenya, Malta, Norvegia, Nuova Zelanda, Olanda, Senegal, Svezia, Tunisia, Venezuela, Zimbabwe.
La comunità internazionale, e specialmente le nazioni industrializzate, hanno obblighi particolari per assistere i paesi in via di sviluppo che sarebbero gravemente colpiti dai cambiamenti nell’atmosfera, anche se molti di loro sarebbero solo marginalmente responsabili oggi.
a) Il principio dello sviluppo, nel quadro delle Nazioni Unite, di una nuova autorità istituzionale, o rafforzando le istituzioni esistenti o creandone una nuova, che, al fine di preservare l’atmosfera, sarà responsabile della lotta contro il riscaldamento globale, utilizzando tutte le procedure decisionali efficaci, anche se, in alcuni casi, non è stato possibile raggiungere un accordo unanime.
b) Il principio che questa autorità istituzionale realizzerà o commissionerà gli studi necessari, avrà accesso alle informazioni pertinenti su richiesta, assicurerà la diffusione e lo scambio di conoscenze specifiche e tecnologiche – il che significa promuovere l’accesso alle tecnologie necessarie – svilupperà strumenti e definirà norme che promuovono o garantiscono la protezione dell’atmosfera e controllerà il rispetto di queste norme.
c) Il principio di misure appropriate per promuovere l’effettiva attuazione e il rispetto delle decisioni della nuova autorità istituzionale, che saranno soggette al controllo della Corte internazionale di giustizia.
d) Il principio che i paesi che subirebbero difficoltà anormali o speciali a causa delle decisioni prese per proteggere l’atmosfera, tenuto conto in particolare del loro livello di sviluppo e della loro effettiva responsabilità nel deterioramento dell’atmosfera, riceveranno un’assistenza giusta ed equa a titolo di compensazione. Dovranno essere messi in atto dei meccanismi a questo scopo.
e) La negoziazione degli strumenti giuridici necessari per fornire una base istituzionale e finanziaria efficace e coerente per i principi di cui sopra.
FONTI:
https://ricerca.repubblica.it/repubblica/
https://www.vie-publique.fr/discours/
https://www.bafu.admin.ch/bafu/it/home/
https://it.wikipedia.org/wiki/Protocollo_di_Montréal