Se è quasi impossibile definire con certezza la data d’inizio dei primi cambiamenti climatici, si può invece dire che la consapevolezza delle responsabilità degli uomini sul riscaldamento globale stia per compiere mezzo secolo. Risalgono infatti agli anni ‘70 i primi studi scientifici che hanno dimostrato come le attività industriali dell’uomo impattino negativamente sul futuro del pianeta. C’è però una data da cui possiamo fare iniziare la nostra storia: siamo nel 1988 – caso vuole – nel bel mezzo di una rovente giornata d’inizio estate…
23 giugno 1988, camera del Congresso americano di Washington. La popolazione sta soffocando nel bel mezzo di un’ondata di caldo storica. James Hansen, direttore del Goddard Institute for Space Studies (GISS) – un laboratorio della NASA – si prepara per essere ascoltato da una commissione del Senato. Nel suo discorso afferma che le temperature eccessivamente alte e la siccità che dura nel tempo non sono dovute alla variabilità naturale del clima ma alle attività umane. James, inoltre, conclude il suo discorso dicendo che questa tendenza peggiorerà nel tempo. È “sicuro al 99%”. Di lì a poco, le sue parole finiranno sulle prime pagine dei principali quotidiani americani, tra cui il New York Times e il Washington Post.
Pochi mesi dopo l’intervento di James Hansen, le Nazioni Unite e l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM) danno vita all’IPCC (l’Intergovernmental Panel on Climate Change), un’organizzazione che diventerà punto di riferimento per la scienza e il monitoraggio del clima.
Nelle sue analisi, James Hansen e i suoi colleghi prevedevano che entro il 2017 la temperatura media della Terra sarebbe stata di circa 1,03 °C superiore alla media calcolata dalla NASA tra il 1950 e il 1980. Si avvicinò molto: gli ultimi dati dicono, infatti, che la temperatura media globale calcolata dalla NASA nel periodo 2012-2017 è stata di 0,82 ° C superiore alla media degli ultimi 30 anni.
Per approfondire:
www.theguardian.com